About me
Patrick John Steiner
Ho cominciato da poco a fotografare, più o meno da cinque anni, ma ho sempre fatto arte. Fino a cinque anni fa la mia arte era la scultura, ma dopo tanti anni di camion e gru ho sentito il bisogno di leggerezza. Ho preso in mano il mio cellulare mentre viaggiavo in treno da Firenze a Pietrasanta, dove vive mio figlio, e ho cominciato a scattare immagini.
Già, mio figlio... proprio oggi mentre stampavo alcune foto di lui mi sono reso conto del profondo legame tra la mia fotografia e lui. Niente ti rispecchia di più della tua arte, dell’aspetto del tuo corpo e dei tuoi figli: tutte queste cose portano il tuo DNA, la tua storia. E io ho sempre adorato ascoltare e raccontare storie!
Della fotografia ho apprezzato subito la sua immediatezza e la sua capacità di muoversi sui confini tra tutte le altre arti a me care: la pittura, il cinema, il teatro e la poesia.
Sono fotografo ora, sì, ma si può incontrare lo scultore in tutti i miei scatti. Soprattutto nella materialità della carta, delle cornici e nella grana delle immagini.
A me piacciono le cose ricche, calde, di spessore; quelle cose che vuoi toccare, accarezzare, rendere parte della tua vita. Anche le persone mi piacciono così.
Sono nato in Svizzera in cima alle montagne, nel “Freddo Nord”. Eppure artisticamente appartengo alla “Escuela del Sur” di Torres Garcia e Gonzalo Fonseca.
Sono stati loro i padri e i mentori della mia infanzia creativa e mai mi hanno lasciato del tutto fino ad oggi. Sì, mi sento figlio loro.
Il mio è un viaggio sicuramente emotivo, un viaggio intimo-universale ricco di materialità e sensi.
Ora, a 50 anni, ho imparato ad amare questo viaggio e ad immergermi sempre di più in me scavando nelle mie viscere alla ricerca di antiche storie e di tesori carichi di gioie e dolori.
“Dig we must” era uno degli ex libris del mio maestro di scultura Gonzalo Fonseca. Forse è per questo che mi piacciono le cornici d'epoca un po' sciupate: perché riflettono il mio stato interiore sempre in bilico tra eleganza, onore e tragedia.
Sono un uomo all'antica che però ha visioni interplanetarie universali. Mi piace guardare oltre con la lente della mia visione; scoprire nel paesaggio oppure nelle persone un denominatore comune che tutti condividiamo: il fatto che abbiamo origine divina.
Cogliere qualcosa di magico in ciò che mi circonda è di fondamentale importanza per me. L'arte mentale mi annoia profondamente: è come parlare di una cosa che non conosci, di un viaggio che non hai mai fatto.
E non è diverso, quindi, fotografare persone oppure la natura per me: entrambe hanno origine nella stessa placenta, entrambe si muovono, alla base, sullo stesso ritmo.
“Il vivo e l'astratto si identificano.
La scoperta di questa connessione è la conoscenza della profonda realtà.
VITA - GEOMETRIA / UOMO - UNIVERSO”
Così scrisse il grande artista uruguaiano Torres Garcia nel 1938.
È per questo che amo la fotografia: perché è realtà e immaginazione nello stesso momento.